DESCRIZIONE
Il rimedio omeopatico Carbo vegetabilis trae origine, come d’altronde indica il suo nome latino, dal carbone
vegetale. Quest’ultimo, detto anche carbone artificiale o carbone di legna o ancora carbonella, è un combustibile prodotto dal processo di carbonizzazione della legna, che si determina facendo bruciare la stessa in presenza di poco ossigeno, in modo da sottrarre gradualmente le quantità di ossigeno, azoto e idrogeno ed ottenere il conseguente aumento del tenore di carbonio. Il risultato dà luogo ad sostanza che ha le caratteristiche richieste ad un combustibile, cioè che ha la proprietà di bruciare con una reazione fortemente esotermica. Il carbone vegetale a temperatura ambiente si presenta come una polvere inodore, di colore nero, insolubile nei solventi più comuni.
Il carbone fossile invece proviene dalla carbonizzazione spontanea, protratta nel tempo (fino a diversi milioni di anni), di resti vegetali sottratti all’azione ossidante dell’aria da una copertura d’acqua e/o di sedimenti impermeabili.
Il rimedio omeopatico Carbo vegetabilis si ottiene dalla triturazione con lattosio del carbone vegetale e dalle successive diluizioni-dinamizzazioni in soluzione idroalcolica.
Per ulteriori informazioni sulla preparazione, consultare l’articolo “Rimedi omeopatici: origine” della sezione del sito “Approfondimenti”.
CARATTERISTICHE DEL RIMEDIO
Carbo vegetabilis è uno dei principali policresti dell’omeopatia, la cui azione è lunga e profonda. La sua diatesi è marcatamente psorica, essendo anche uno dei principali rimedi omeopatici della psora. La costituzione è carbonica, con una componente leggermente sulfurica. E’ il rimedio fratello gemello di Carbo animalis, avendo un quadro clinico analogo.
E’ il rimedio dei soggetti che non riescono ad eliminare con efficacia l’anidride carbonica che l’organismo stesso produce con il metabolismo. In senso figurativo l’organismo è assimilabile ad una fabbrica siderurgica, i cui reparti sono costituiti dalle cellule, ove negli altiforni si produce una combustione che utilizza l’ossigeno (O2) come comburente e le sostanze organiche nutrienti (zuccheri, proteine, grassi, ecc.) come combustibili, entrambi trasportati dal sangue. Durante la combustione l’ossigeno si lega con il carbonio, presente nelle sostanze organiche, generando anidride carbonica (CO2), che deve essere eliminata in quanto tossica per l’organismo. Se ciò non avviene la fabbrica di cui in precedenza si riempie di fumo e diventa impossibile lavorarvi, per cui i reparti (le cellule e quindi i vari organi ed apparati) non riescono a svolgere correttamente le loro funzioni. Carbo vegetabilis è proprio il rimedio degli organismi che hanno un difetto di eliminazione dell’anidride carbonica, cioè delle sostanze tossiche da loro stessi prodotti. Hanno un difetto nella cappa, nel tiraggio, per cui non riescono ad espellere i prodotti della combustione. Restano intossicati tutti gli organi e gli apparati più colpiti sono quelli respiratorio, circolatorio e gastrico. Ma anche il sistema nervoso centrale che è estremamente sensibile alla carenza d’aria e di ossigenazione.
I sintomi che il soggetto Carbo vegetabilis presenta sono quelli tipici dell’intossicazione dovuta ad un aumento di CO2 nel sangue: confusione mentale, vertigini, disturbi visivi, debolezza organica, scarsa vitalità, cute e labbra cianotiche per la deficienza della circolazione periferica, aspetto cadaverico, vene turgide, gonfie, violacee e pulsanti. Il soggetto diventa abulico, indifferente a tutto, sia al piacere che al dispiacere (come Sepia), timido, irrisoluto, inerte, pigro; ha una lenta capacità di pensare ed una memoria debole; ha l’alito fetido; ha ansia ed angoscia (come Arsenicum, senza però l’agitazione); ha grande desiderio d’aria per cui ha bisogno di essere ventilato; ha freddo e si raffredda facilmente (anche la sudorazione è fredda); ha tosse con sensazione di bruciore al petto; soffre di vene varicose, di emorroidi, di epistassi frequenti; ha digestione lenta e soffre di flatulenza bruciante; ha prurito e geloni. Tutte le sensazioni sono con bruciore interno (torace, addome, ano, ecc.) e freddo esterno. Il soggetto in genere è miope (a differenza di Carbo animalis ove in genere è ipermetrope).
Carbo vegetabilis è classicamente il rimedio dei problemi dovuti ad una circolazione lenta (stasi venose, vene varicose, emorroidi, ecc.), dei problemi gastrici con forte flatulenza, dei problemi respiratori affetti da dispnea ed asma (per questi si rivela uno dei migliori rimedi), della pelle afflitta da ulcere e foruncoli, delle emorragie a livello delle mucose, delle condizioni settiche soprattutto dopo interventi chirurgici. Ma è anche il rimedio delle astenie, degli stati gravi e delle ultime fasi di una malattia, delle agonie. E’ altresì utile in tutti i casi in cui c’è mancanza di risposta ai farmaci, ove cioè vi è mancanza di reazione dell’organismo ed in tutti gli stati cianotici dovuti a scarsa ossigenazione del sangue (eccesso di CO2). Come pure è il rimedio indicato a coloro, giovani o anziani, non completamente guariti dagli effetti debilitanti di una precedente malattia o di un vecchio trauma.
I sintomi peggiorano con aria umida e calda, dopo i pasti (specie con l’ingestione di latte, cibi grassi ed alcool), la sera e di notte. Peggiorano anche a tutto ciò che costituisce uno stimolo giacché il soggetto non riesce a reagire.
I sintomi migliorano con la ventilazione e l’aria fresca. Quelli gastrici migliorano temporaneamente con l’eruttazione.
Carbo vegetabilis è configurabile come “la signora del ventaglio”.
I principali sinergici (complementari) sono China, Drosera, Kali carbonicum, Phosphorus.
In genere, Carbo vegetabilis viene preferito a Carbo animalis in caso di sintomi circolatori; invece si preferisce Carbo animalis in caso di tumefazioni ghiandolari con indurimento.
USO DEL RIMEDIO
Il rimedio omeopatico Carbo vegetabilis si usa nei seguenti principali casi, quando i sintomi corrispondono e si associano alle caratteristiche del rimedio stesso.
1) SISTEMA CIRCOLATORIO. Ecchimosi frequenti. Emorragie delle mucose (naso, gengive, ecc.). Tachicardia e bassa pressione arteriosa. Vene varicose con tendenza all’ulcerazione.
2) APP. GASTROENTERICO. Ulcera gastrica. Atonia gastrica con stasi epato-portale e sensibilità del fegato alla palpazione. Dispepsia talora sccompagnata da palpitazione cardiaca. Flatulenza acida e purida. Stitichezza o diarrea con feci fetide e sensazione di bruciore. Emorroidi.
3) APP. RESPIRATORIO. Raffreddore con muco ai bronchi difficile da espellere. Dispnea che si aggrava al minimo movimento, asma, tosse, pertosse. Tali affezioni solitamente si accompagnano ai disturbi gastrici e viceversa. Raucedine cronica. L’espettorato in genere è giallognolo, purulento e maleodorante.
4) SISTEMA MUSCOLARE. Atonia e debolezza muscolare. Crampi muscolari alle gambe durante il cammino.
5) SISTEMA NERVOSO. Ansia e agitazione. Contrazioni nervose e sussulti durante il sonno.
6) TESTA. Cefalea occipitale con sensazione di dilatazione interna ed epistassi. Testa calda e cuoio capelluto freddo. Otite. Parodontite. Afte.
7) PELLE. Bruciore della pelle. Ulcere cutanee. Prurito. Geloni. Foruncoli.
8) APP. GENITALE FEMMINILE. Metrorragia. Sensazione di pressione al basso ventre. Debolezza durante l’allattamento. Preparazione al parto. Emorragia al momento del parto. Menopausa.
9) APP. GENITALE MASCHILE. Borse scrotali eccessivamente pendenti. Genitali esterni freddi e sudati.
DOSI
In tutti casi diluizione 5CH, 3 granuli 2 – 3 volte al dì.
Nel caso dei disturbi gastroenterici si possono aggiungere 30 gocce di Maggiorana TM dopo i pasti principali.
(*) V. Note esplicative

L’ipertensione arteriosa è un aumento a carattere stabile della pressione arteriosa del sangue con rialzo dei valori sia della pressione massima che di quella minima. Per pressione arteriosa massima si intende la pressione sistolica, cioè quella che si verifica durante la sistole cardiaca (fase di contrazione del cuore), mentre per pressione arteriosa minima si intende la pressione diastolica, cioè quella che si verifica durante la diastole cardiaca (fase di rilassamento del cuore).










Calendula officinalis è una pianta erbacea perenne, con varietà ornamentali annue, appartenente alla famiglia delle Composite. Selvatica, cresce qua e là nei campi e soprattutto nei luoghi erbosi di tutt’Italia, principalmente nelle regioni meridionali. Spesso adorna le tombe nei cimiteri, donde il nome popolare di Fiore dei morti o Erba dei morti. E’ nota volgarmente anche col nome di Calendola o Fiorrancio. Può essere coltivata nei giardini. Fiorisce quasi tutto l’anno (da aprile a ottobre). Presenta un fusto angoloso, striato, alto 20 – 50 cm, coperto di peluria; foglie, anch’esse pelose, lanceolate, acuminate, di colore verde chiaro; fiori simili a margherite, gialli o aranciati, odorosi, in capolini con disco centrale; frutti ad achenio ricurvo. Per le diverse proprietà terapeutiche la pianta è utilizzata in medicina naturale. E’ antisettica, antifungina e contiene ormoni e precursori della vitamina A I petali tonificano la pelle, ne curano le screpolature, le ustioni e gli eczemi. Inoltre con essi è possibile preparare lavaggi calmanti per gli occhi e un colorante giallo. I fiori del disco mostrano effetti che riducono lo sviluppo dei peli, utili nelle creme per il viso. Per uso interno cura dolori di stomaco, infiammazioni dei nodi linfatici e stimola il fegato, aiutando gli alcolisti a disintossicarsi. Le foglie si usano nelle insalate e i fiori per decorare piatti di riso e di pesce.
Il rimedio è utile anche nei casi di adenite tubercolare, mastopatia (noduli alle mammelle), ulcere, eruzioni erpetiche, indurimento delle ghiandole con tendenza alla suppurazione, ascessi tonsillari, difficoltà ad urinare degli anziani. Si rivela un rimedio prezioso in ostetricia e in odontoiatria.
forma ovale-lanceolata, alterne, con una più piccola dell’altra nella zona superiore. Come il fusto, esse sono ricoperte di una peluria responsabile dell’odore sgradevole emanato dalla pianta. I fiori, che compaiono nel periodo estivo, sono piccoli, caliciformi, poco attraenti, di colore porporino-violaceo. Il frutto è una bacca nera lucida, contornata da un calice a stella, delle dimensioni di un’amarena, dall’aspetto invitante e può essere confusa con i frutti del sottobosco come i mirtilli. La pianta cresce sporadica nelle zone montane e submontane dell’Europa centrale, Africa settentrionale ed Asia occidentale. In Italia la si può trovare nei boschi delle Alpi e degli Appennini. L’intera pianta è velenosa ed in modo particolare le sue bacche, nonostante abbiano un sapore dolciastro e gradevole. L’ingestione di solo alcune di esse può provocare la morte. I sintomi sono contenuti in una vecchia filastrocca inglese, che recita: “caldo come una lepre” (febbre), “cieco come un pipistrello” (dilatazione pupillare e inibizione dell’accomodazione), “secco come un osso” (blocco di salivazione e sudorazione), “rosso come una barbabietola” (congestione di volto e collo), “matto come una gallina” (allucinazioni, eccitazione). Proprio a questi effetti letali si deve il termine Atropa che compone il nome della pianta. Atropa infatti, era una figura della mitologia greca che aveva il compito di recidere il filo della vita. Il termine Belladonna, che è il nome comune dato alla pianta, invece deriverebbe dall’uso cosmetico che ne facevano le donne del Rinascimento, le quali la utilizzavano per migliorare il colorito del viso e per dilatare le pupille allo scopo di rendere lo sguardo più luminoso ed ammaliante.
contrario quando si ammala diventa violento e spesso delira: guai a dargli fastidio. Il più delle volte si tratta di donne e bambini con capelli chiari ed occhi azzurri, carnagione chiara, cute delicata, nervosi con tendenza alle convulsioni. Possiamo immaginare Belladonna proprio come una bella donna, formosa e piacente nell’aspetto ma estremamente sensibile, che scatta e si tinge di rosso se viene disturbata, facilmente influenzabile e stimolabile dal punto di vista emotivo.
E’ una pianta a ciclo biennale, che diventa annuale in coltivazione. Le radici sono fascicolate e superficiali, crescono nel terreno non oltre i 30-40 cm di profondità sviluppandosi per lo più in orizzontale per 20-25 cm dal fusto. Il fusto della cipolla, che si trova sottoterra, è molto corto e fortemente appiattito, largo 1 – 2 cm e per questo è denominato girello o disco. Attorno al girello crescono molto strette le foglie che sono cilindriche, alterne ed opposte. Esse nella parte basale si ingrossano, si ispessiscono, divengono carnose, a forma di guaina, bianche o leggermente colorate, formando il bulbo, che è la parte edule (commestibile) della pianta. Le guaine fogliari più esterne però rimangono sottili, cartacee, variamente colorate, dal bianco al dorato, al rosso, a seconda delle varietà di cipolla, ed hanno la funzione di protezione della parte interna.
La cipolla viene raccolta quando le foglie che fuoriescono dal terreno appassiscono, divenendo gialle e ricurve, prima che la pianta fiorisca. I bulbi vengono estirpati con apposite macchine escavatrici, lasciati sul posto una settimana per completare l’essiccazione delle radici e della parte aerea, quindi recuperati con una macchina raccoglitrice e messi in contenitori. Le cipolle così raccolte possono essere destinate al consumo fresco, alle industrie di trasformazione o alla conservazione. In genere le varietà tardive sono quelle che meglio si conservano.